Recensioni - Diari di Cineclub n. 112/2024 - Peppermint Candy (1999) di Lee Chang-dong: la storia di un uomo e di un Paese

n. 112 14 Peppermint Candy (1999) di Lee Chang-dong: la storia di un uomo e di un Paese Sinossi: Riavvolgendo il nastro, il ilm racconta la vita di Yong-ho al contrario. Tra l’infanzia innocente e la tragica morte, è stato studente, solda - to, poliziotto e inine un investitore che perde una piccola fortuna nel mercato azionario Il cinema coreano è cresciuto molto negli ultimi trent’anni otte - nendo successi e rico - noscimenti in tutto il mondo. La nascita del movimento che ha por - tato a tali risultati ha origine nell’ultimo de - cennio del secolo scorso quando, in seguito ai cambiamenti politici in senso democratico, l’emergere di grandi regi - sti ha consentito alla cinematograia sudcore - ana d’imporsi come una delle più apprezzate. Autori come Hong Sang-soo, Kim Ki-duk, Lee Chang-dong, Park Chan-wook hanno mosso i primi passi, infatti, negli anni Novanta dando vita a una vera e propria new wave: un nuovo modo di fare cinema e di raccontare storie at - traverso personaggi complessi e sfaccettati e una società in evoluzione con cui si trovano a fare i conti. Ciò è stato possibile privilegiando e sostenendo la produzione e la distribuzione a livello nazionale, già dagli anni Ottanta, gra - zie a precise strategie governative, consen - tendo il superamento della crisi del decennio precedente dovuta al crollo della produzione e a una disafezione generalizzata del pubblico. Questo è il contesto in cui Lee Chang-dong ar - riva alla regia, seppur non più giovanissimo, proveniente da una apprezzata esperienza co - me scrittore, sceneggiatore e autore teatrale. L’esordio avviene con Green Fish (1997) nel quale il tema dell’urbanizzazione della cam - pagna coreana è il pretesto per afrontare un discorso sull’identità utilizzando gli strumen - ti del genere gangster come precisa scelta sti - listica per superare la diidenza del pubblico. Due anni dopo, all’alba del nuovo millennio, le rilessioni di Lee sul signiicato di un futuro incerto e la possibilità di ripercorrere il passa - to, lo portano a realizzare Peppermint Candy e a farlo uscire nelle sale il giorno di Capodanno del duemila. Il ilm si presenta come l’espressione della fantasia del regista di tornare indietro nel tempo per riscrivere i precedenti venti anni, anticipando di un anno il forse più noto Me - mento, propone una struttura narrativa che richiede allo spettatore un lavoro di ricostru - zione: la prima scena, infatti, è ambientata nella primavera del 1999 e descrive il suicidio di uno stralunato Yong-ho investito da un tre - no in corsa al grido di “torno indietro!”, men - tre l’ultima si svolge nel 1979. La storia è sud - divisa in capitoli ognuno dei quali è introdotto da una didascalia con il titolo e la collocazione cronologica, si delinea così un percorso a ri - troso, nella vita dell’uomo e nella storia recen - te del Paese asiatico, ofrendo una visione che dal personale si allarga al generale, dove la crisi del personaggio è strettamente legata alla vita collettiva della nazione e ai suoi passaggi sa - lienti: la dittatura culminata con la legge mar - ziale e il massacro di Kwangju; la repressione del movimento studentesco e la conseguente caduta del regime militare di Chun Doo-hwan nel 1987, le elezioni democratiche e il successi - vo periodo di benessere; la crisi inanziaria del 1997. Il racconto è costruito attraverso un ripetuto meccanismo di anticipazione nel quale ogni azione, oggetto e incontro acquistano signii - cato in quello che lo spettatore vede nelle sce - ne precedenti, ecco allora svelato, ad esempio, il ringhio apparentemente scherzoso di Yong- ho verso il bimbo che gioca nei paraggi, o il ruolo delle caramelle alla menta da cui il tito - lo, o ancora il senso delle sue scelte i cui risvol - ti coinvolgono le due donne della sua vita. Al fascino magnetico del ilm contribuisce la perfetta sintonia tra forma e sostanza: la drammaticità esaltata dalla narrazione a ri - troso è accompagnata dal treno come elemen - to ricorrente. La sua presenza costante compare in tutti i capitoli diventando la rappresentazio - ne simbolica della psicologia dell’uomo bloc - cato nella sua condizione e incapace a uscire dai binari di una esistenza che lo conduce al compimento di un destino ineluttabile, alcu - ne sequenze, dal sapore vagamente premoni - tore, abilmente inserite, come nell’ultima sce - na, ne sono una conferma. Un altro elemento interessante è la presenza di brevi sequenze, a conclusione di ogni episodio, nelle quali la campagna coreana è attraversata da un treno in corsa. Sembra ovvio il loro signiicato che rimanda all’excursus temporale della vicenda, ma un esame più attento rivela come tale in - terpretazione sia accentuata dal fatto che le scene sono riprodotte all’indietro: il treno, infatti, non marcia in avanti lungo i binari, ma l’inquadratura è presa dalla sua coda, come dimostrano piccoli particolari via via più evidenti nei inali degli ultimi capitoli. Come già detto, Peppermint Candy è il secondo lungometraggio di Lee Chang-dong a cui so - no seguiti altri quattro ilm: Oasis (2002), una struggente storia d’amore intrecciata al tema della malattia mentale; Secret Sunshine (2007), in cui mamma e iglia provano a ricostruire la loro vita in un luogo diverso dopo una perdita dolorosa; Poetry (2010) dove un’anziana signo - ra prova a conciliare la sua passione per la po - esia in un contesto familiare e sociale che di poetico ha ben poco; Burning (2018), la storia complessa di una relazione e dei suoi misteri nascosti. Una ilmograia non particolarmente prolii - ca, quella del regista sudcoreano, intervallata anche dall’esperienza politica come ministro della cultura del suo Paese, ma caratterizzata da un’altissima qualità di scrittura e di regia che ha portato, alla maggior parte dei suoi ilm, riconoscimenti e premi da tutto il mon - do. Lee Chang-dong si dimostra come un autore tra i più importanti del nuovo millennio capa - ce di raccontare in modo articolato la psicolo - gia dei suoi personaggi valorizzando, allo stesso tempo, il contesto ambientale in cui colloca le storie messe in scena. Il consiglio è quello di recuperare, per chi non lo ha visto, questo gioiello che è disponibile su varie piat - taforme streaming (Mubi, Internet Archive) nella speranza che, come avvenuto per Memo- ries of murders di Bong Joo-ho, un restauro e una nuova distribuzione ne consentano la vi - sione nelle sale italiane. Tonino Mannella Tonino Mannella