Pubblicato il 28/02/2023 su Diari di Cineclub
Data di uscita: 16 febbraio 2023
Genere: Thriller, Drama, True Crime, Crime, Serial Killer
Anno: 2022
Regia: Ali Abbasi
Attori: Zar Amir Ebrahimi, Diana Al Hussen, Soraya Helli
Paese: Germany, Denmark, Sweden, France
Durata: 117 min
Distribuzione: Academy Two
Sceneggiatura: Ali Abbasi, Afshin Kamran Bahrami
Fotografia: Nadim Carlsen
Montaggio: LHayedeh Safiyari, Olivia Neergaard-Holm
Produzione: Profile Pictures, One Two Films, Nordisk Film, Wild Bunch, Film i Väst, Why Not Productions, ZDF, Arte France Cinéma
Sinossi: Iran, 2001. Raihimi, una giornalista di base a Teheran, si sposta nella città santa
di Mashhad per indagare su un serial killer che uccide le prostitute convinto di liberare le
strade dai peccatori per conto di Dio. Nonostante il numero delle vittime continui ad
aumentare, le autorità locali non sembrano aver fretta di risolvere il caso e Raihimi si
renderà presto conto che potrà contare solo sulle proprie forze.
Il film è basato sulla storia vera dello “Spider Killer” Saeed Hanaei che ha ucciso 16 donne
tra il 2000 e il 2001.
Iran 2022, Mahsa Amini, una giovane di 22 anni muore a causa delle ferite riportate in
seguito al suo arresto motivato dal fatto di non indossare correttamente lo Hijad (il
copricapo indossato in pubblico dalle donne musulmane). In conseguenza della sua morte
sono iniziate una serie di proteste e manifestazioni duramente represse dal regime degli
Āyatollāh.
Iran 2001, il serial killer Saeed Hanaei viene arrestato dopo aver ucciso 16 prostitute nella
città santa di Mashad.
Ali Abbasi proviene da questa terra dove la cultura misogina imperversa legando passato
e presente. Emigra ancora giovane, per andare a studiare in Europa, a Stoccolma, dove si
stabilisce acquisendo la nazionalità danese. I suoi primi lungometraggi si fanno subito
notare ricevendo premi: alla Berlinale nel 2016 con Shelley e soprattutto a Cannes dove
Border vince la sezione Un certain regard, recentemente ha anche diretto due episodi
della prima stagione di The last of Us.
Con Holy Spider, il regista iraniano torna in patria per raccontare una storia tratta da un
fatto di cronaca apparentemente non troppo eclatante, omicidi e serial killer non sono
insoliti da quelle parti, ma cosa lo ha colpito a tal punto da lavorare al progetto per quindici
anni prima di realizzarlo? Sono proprio i temi culturali di fondo, quelli che accomunano le
vicende in apertura di recensione, la misoginia diffusa, la tradizione d’odio verso le donne,
problemi complessi e indipendenti dai governi, ma riguardanti l’intera società.
thriller canonico in cui agli omicidi segue un’indagine decisiva per lo svelamento
dell’assassino, qui il killer è fin da subito identificato, lo conosciamo già dal prologo prima
dei titoli di testa e ne seguiamo i movimenti per tutto il film. Parallelamente si svolgono le
indagini di una giornalista le cui azioni sono fin da subito limitate dalla sua condizione di
donna per di più single. Se la prima parte della pellicola è organizzata in maniera piuttosto
convenzionale, la seconda diventa rivelatrice, è qui che avviene lo scarto ed emerge il
vero fattore scatenante la curiosità di Abbasi: la percezione del killer, da parte di una fetta
della comunità locale, come un eroe la cui missione religiosa è quella di liberare le strade
dalla prostituzione e dalla droga.
La particolarità della narrazione sta nella capacità del regista di seguire e dare pari
importanza alle storie di Saeed (il killer) e Rahimi (la giornalista) attenuando la centralità
della caccia al killer, e valorizzando la psicologia dei personaggi e il loro modo di affrontare
la complessa situazione. Saeed appare come un uomo ingenuamente convinto della
giustezza delle sue azioni, è un padre di famiglia attento e devoto, un reduce dalla guerra
Iran-Iraq alla ricerca di una missione per riempire il suo opprimente vuoto esistenziale.
Rahimi è tenace e indipendente, determinata a far valere i propri diritti pur trovandosi
continuamente di fronte all’atteggiamento giudicante degli uomini che non la considerano
troppo diversa dalle vittime e dalle altre donne.
La ramificazione di situazioni messe in scena richiama il ragno menzionato nel titolo al
quale è attribuito un doppio significato: non solo è l’appellativo con cui è battezzato
l’autore degli omicidi originato dalla ricorrenza di attirare le vittime nel suo appartamento,
ma è anche la rappresentazione plastica di un altro personaggio del film, la città santa di
Mashhad. La sua conformazione, infatti, vede il famoso santuario, meta di pellegrinaggio
da tutto il mondo, al centro di una sorta di ragnatela che si estende per chilometri,
evidenziata dal suggestivo movimento di macchina nella sequenza prima del titolo dove
l’inquadratura si apre alla veduta aerea notturna alla città.
ambientate nei bassifondi dove vive Saeed, non sono girate in Iran, ma in Giordania dopo
il rifiuto della Turchia, in seguito alle pressioni del governo iraniano, a ospitare la troupe.
Questa è un ulteriore prova del clima di repressione e di ostilità verso chiunque esprima
un qualsiasi pensiero dissonante rispetto alla linea governativa come dimostrano anche i
recenti arresti dei registi Mohammad Rasoulof, Jafar Panahi e Mostafa Al-Ahmad. In tale
quadro la scelta degli attori si è rivelata altrettanto coraggiosa: Medhi Bajestani (Saeed),
un attore di cinema e teatro molto conosciuto in Iran, nato nella regione di Mashad,
preferito anche per l’accento molto vicino a quello dei luoghi in cui è ambientata la
vicenda. Il suo ruolo, e il dover umanizzare un personaggio disgustoso, lo espongono a
parecchi rischi nel suo Paese; diversa, ma altrettanto emblematica, è la storia di Zar Amir
Ebrahimi (Rahimi), famosa star televisiva nei primi anni 2000 la cui carriera è stata
stroncata dalla diffusione di un filmato personale che la ritraeva in atteggiamenti intimi,
costretta a lasciare l’Iran e a rifugiarsi in Francia. Inizialmente era stata cooptata da Abbasi
come direttrice del casting, ma la necessità di dover sostituire l’attrice designata hanno
fatto ricadere la preferenza su di lei per il ruolo di Rahimi. Scelta azzeccata e fortunata
visto che l’ha portata a vincere il Prix d'interprétation féminine al Festival di Cannes.
Il respiro internazionale di Holy Spider è evidenziato da due fattori molto importanti che lo
diversificano da altri film, seppur ottimi e antigovernativi, ambientati nel paese
mediorientale: la forte dose di realismo contenuta nella pellicola e il particolare design
sonoro che contribuisce a creare un’atmosfera cupa e inquietante. Per quanto riguarda il
realismo, il regista infrange veri e propri tabù del cinema iraniano come le scene di nudo,
la droga e la prostituzione che rappresentano, più di qualunque messaggio esplicito, una
vera minaccia per la nazione. La colonna sonora è curata dal compositore danese Martin
Dirkov, il suo carattere contemporaneo è in sintonia con la zona industriale dei bassifondi
di Mashhad e allo stesso tempo scaturisce quasi naturalmente dall’elemento sonoro
costante nel film, il rombo della motocicletta di Saeed. Si crea, in questo modo,
un’interessante sperimentazione dove l’industrial music è interpretata in direzione non
occidentale con riferimenti grunge.
Holy Spider è dunque avvincente, ben girato e con ottimi interpreti, e fornisce un’ottima
visuale sulle contraddizioni e le ingiustizie che pervadono la complessa società iraniana.
Oltre ai numerosi riconoscimenti ricevuti in Europa, è nella cinquina di titoli contendenti la
statuetta dell’Oscar come miglior film internazionale. In Italia è distribuito da Academy Two
ed è uscito lo scorso 16 febbraio, il mio consiglio è di recuperarne la visione, possibilmente
su grande schermo.