Recensioni - Diari di Cineclub n. 140/2025 - Soundtrack to a Coup d’Etat (2024) di Johan Grimonprez. Riuso creativo, jazz e guerra fredda

n. 140 22 Soundtrack to a Coup d’Etat (2024) di Johan Grimonprez Riuso creativo, jazz e guerra fredda Si è da poco conclusa a Roma la terza edizio-ne di un festival appa-rentemente rivolto al passato, ma in realtà for-temente innovativo nel-la proposta: l’Unarchive Found Footage Fest. Il festival è incentrato sul riuso creativo delle im- magini ed è ideato e prodotto dall’Archivio Audiovisivo del Movimento Operaio e Demo-cratico (AAMOD). Il termine Unarchive (lette-ralmente de-archiviare) rappresenta un con-cetto che unisce varie iniziative dell’AAMOD tutte volte al riuso delle immagini come mo-dalità di espressione capace di produrre nuovi signifcati dalla reinterpretazione di materiali d’archivio. Accanto all’Unarchive Found Foota-ge Fest troviamo: Il premio Zavattini, le resi-denze artistiche Suoni e Visioni e il progetto Riuso di Classe. Tutte realtà rivolte ai giovani e alla loro capacità di coniugare elementi del passato con la creatività e le tecnologie at-tuali.Tornando al festival, si tratta di una kermesse internazionale competitiva che assegna tre pre-mi: al miglior cortometraggio, al miglior lungo-metraggio e al miglior riuso creativo delle im-magini (Unarchive Award). In questi anni ha ospitato lavori di registi importanti, non solo nel panorama del found footage, solo per citare al-cuni nomi: Sergei Loznitsa, Peter Tscherkassky, Bill Morrison, Kleber Mendonça Filho, Eyal Si-van, Leos Carax e molti altri, spesso presenti in sala a illustrare le loro opere e a confrontarsi con il pubblico. Anche quest’anno l’organizzazione ha allestito un festival interessante e variegato mettendo in diffcoltà le due giurie che hanno assegnato i premi: la giuria internazionale com-posta dai registi Federica Foglia, Costanza Qua-triglio ed Eyal Sivan e la giuria studenti prove-nienti da varie università e scuole di Roma. Le due giurie si sono comunque trovate d’accordo nel premiare il miglior cortometraggio, Man Number 4 regia di Miranda Pennell, e il miglior lungometraggio, Soundtrack to a Coup d’Etat di Johan Grimonprez, il quale sarà l’oggetto di que-sta recensione. Soundtrack to a Coup d’Etat è un flm di montaggio interamente costruito su materiali d’archivio, racconta del periodo tra il 1956 e il 1961 in cui la guerra fredda, il crollo degli imperi coloniali, e il conseguente ingresso all’assemblea dell’ONU dei paesi africani indipendenti, diedero uno scossone agli equilibri politici mondiali. Gri-monprez focalizza l’attenzione sui passaggi che hanno portato all’indipendenza del Congo e all’assassinio del suo leader politico Patrice Lu-mumba (17/01/1961) evidenziando il ruolo della CIA e del governo belga. Come suggerisce il ti-tolo, la musica riveste un ruolo tanto impor-tante quanto l’elemento politico, lo spunto è dato, infatti, da un evento strettamente colle-gato ad essa: nel febbraio del 1961 i musicisti Abbey Lincoln e Max Roach irrompono nel consiglio dell’ONU per protestare contro l’as- sassinio del leader congolese, ed è proprio dall’urlo della Lincoln, immortalato in una scena del flm, che nasce l’idea. I collegamenti con la musica proseguono: nello stesso perio-do, il governo statunitense invia Louis Arm-strong in Congo per un tour in qualità di am-basciatore del jazz, ma la sua presenza si rivela essere un paravento per quello che sarà il primo colpo di Stato post-coloniale in Afri- ca, tanto che il trombettista americano rifuta di proseguire nella tappa successiva che avreb- be dovuto essere il Sudafrica. Si crea così un f -lo diretto, quasi inscindibile, tra jazz e guerra fredda alimentato da altri reperti dell’epoca che mostrano Dizzy Gillespie candidarsi pro-vocatoriamente alla Casa Bianca con l’obietti-vo di trasformare la Cold War in una Cool War o anche i preziosi contributi audio del le- ader sovietico Nikita Kruscev che sbeffeggia la musica americana. Questi ultimi, forniti di -rettamente dalla famiglia Kruscev, sono parti- colarmente interessanti per la defnizione di quello che appare come un vero e proprio pro-tagonista del documentario contribuendo inoltre a fare luce sull’episodio, quasi mitolo-gico, della scarpa sbattuta sui banchi dell’as-semblea ONU, di cui non esiste nessuna registra-zione video. La visita del Segretario sovietico negli Usa, compresa la visita a Hollywood, è invece riccamente documentata, e trova posto anche la richiesta, rifutata, di visitare Di -sneyland che quasi provocò un incidente di-plomatico. Attraverso queste contrapposizioni il flm rie -sce perfettamente a rappresentare il clima dei rapporti diplomatici dell’epoca con la divisio-ne in blocchi e con il continente africano con- teso fra le due sfere d’influenza. Il crollo degli imperi coloniali e la nuova indipendenza di molti Stati africani hanno, infatti, creato un vero e proprio terremoto politico: alla fne de -gli anni ’50 16 nuovi Paesi africani fecero il lo-ro ingresso all’assemblea dell’ONU dichiaran-dosi non-allineati e creando scompiglio nel rapporto di forze fno a quel momento conso -lidato. Accanto a questi eventi di portata storica tro-vano spazio storie più piccole, ma non meno importanti come quella accennata all’inizio di Max Roach e Abbey Lincoln che organizzano l’irruzione all’ONU per far sentire la propria voce o quella di Andrée Blouin, capo del proto-collo nel gabinetto di Lumumba, che con uno stratagemma consentì di smascherare il pia-no del governo belga per instaurare un gover-no fantoccio contro il volere del popolo. Il libro della Blouin, My country, Africa: autobiography of the black pasionaria (Praeger Publishers, New York, 1983), è una delle tante fonti documen - tali del flm, insieme a Congo Inc.: Le testament de Bismarck (Actes Sud, Paris,2014) di Koli Jean Bofane, To Katanga and back: A UN case history (Simon and Schuster, New York, 1963) di Co-nor Cruise O’Brien, i già citati reperti audio della famiglia Kruscev e i tanti materiali d’ar-chivio delle assemblee ONU e della televisione statunitense. Un corpus di materiali assem-blato magistralmente, con creatività, ritmo e competenza che rendono l’opera avvincente e scorrevole nonostante le due ore e mezza di lunghezza. Il flm tenta di far luce in un pas -saggio della Storia avvolto ancora da misteri e segreti e allo stesso tempo mette in guardia da meccanismi, per nulla abbandonati, dove gli interessi economici legati alla disponibilità di materie prime sono il motore di azioni politi-che, e non solo, spesso a scapito dei Paesi più deboli. Argomenti che purtroppo sono tornati in voga recentemente come si può vedere dal-la contesa per accaparrarsi le cosiddette terre rare in Ucraina.La grande intuizione di Grimonprez di legare la musica al documentario politico rende quest’opera facilmente fruibile nonostante l’importanza e la complessità dei temi trattati. Non capita spesso di passare dalle immagini di importanti momenti storici alle note ritma-te di Gillespie, Armstrong, Nina Simone, Mi-riam Makeba, Thelonius Monk e altri in un ca-leidoscopio di suoni e immagini d’archivio che risuonano in un ritmo sincopato e coin-volgente. Una struttura che richiama diretta- mente il jazz identifcando il documentario più come un flm-jazz che non un flm sul jazz. La grande qualità di quest’opera è confermata dai riconoscimenti ricevuti: oltre a vincere l’U-narchive Found Footage Fest, Soundtrack to a Coup d’Etat si è aggiudicato lo Special Jury Award for Cinematic Innovation al 40° Sun- dance Film Festival ed è stato candidato agli Oscar 2025 come Best Documentary Feature. In Italia è distribuito da I Wonder con il titolo Colonna sonora per un colpo di Stato . Tonino Mannella Tonino Mannella